Blade Runner 2049: “Sò 2050, cheffaccio lascio?”

Nella mia lista dei desideri, vedere Blade Runner 2049 era appena sopra l’appuntamento dal dentista. Avevo appena finito di dire a Carmen che non avevo voglia di andarlo a vedere a metà settimana, quando Maria lo ha scelto in una rosa di tre film da me proposti per il fine settimana. Un po’ perchè lei è la mia morosa, un po’ perchè non volevo passare il sabato pomeriggio sulle panchine del centro come gli omarelli, ho accettato di vedere questo pippone para-fantascientifico. La visione è avvenuta Sabato 07 Ottobre 2017 e quelli che seguono sono pensieri sparsi sul film.

Qualche anno fa avevo visto Blade Runner, il primo ed inimitabile film degli anni ’80, e mi era piaciuto assai. Non voglio definirlo un capolavoro, perchè non sono un vero critico cinematografico, però posso affermare con certezza che fosse un bel film. Capirete dunque perchè non mi aspettassi niente di che dal seguito: se i seguiti di film mediocri sembrano peggio dei predecessori, tra i film belli e i loro seguiti l’abisso non può che aumentare. Blade Runner 2049 ha avuto il pregio (l’unico) di non deludere le mie aspettative in tal senso.

Come spesso succede in questo genere di film, che potremmo definire “Seguiti di film che negli anni ’80 fecero furore”, per realizzare Blade Runner 2049 hanno saccheggiato il capostipite a mani basse. Il problema è che, essendo passati ormai più di 30 anni, molte delle idee che rendevano bello il primo film risultano stantie inserite nel secondo. Ancora più grave poi il fatto che nel secondo si siano discostati dal primo in modi tali da rendere incoerenti e contraddittorie le due pellicole tra loro.

Ma iniziamo parlando degli elementi comuni:

  • Le musiche. Nel primo film, Vangelis spadroneggiava con una colonna sonora elettronica ed ansiogena. Nel secondo, Hans Zimmer spadroneggia con una colonna sonora elettronica ed ansiogena. La grande differenza è che sono passati 35 anni (un abisso in termini di gusti musicali) e che il volume a cui viene barrita addosso allo spettatore (ZZZZZZZZZZZZBRAAAAAAAAAAAAAAAMMMMMMMZZZZZZZZZZZZZZZZBRAAAAAAAAAAAAAAAAMMMMMMMM) non serve a nascondere l’incapacità di inventare qualcosa di nuovo. Quanto a volume, gli effetti sonori non sono da meno. Ogni volta che sparano sembra di stare al poligono senza i DPI;
  • Le scenografie e l’ambientazione. Luci al neon, pioggia, enormi cartelloni pubblicitari, retrofuturismo. Al secondo film non manca niente di ciò che ha reso il primo un’influenza dominante sulla fantascienza degli ultimi trent’anni. Niente tranne l’ironia. Grazie ad un product placement talmente invasivo da far pensare allo spettatore di aver sbagliato sala (“Ma il film non doveva iniziare alle 14:40? So le 15:30 e stanno ancora a fa la réclame della Peugeot!”), del secondo film io non ricordo alcuna immagine significativa, solo un coacervo di marchi che scorrono dietro agli attori. Si sono dati così tanto da fare per inserire roba che mentre Ryan Gosling e Harrison Ford chiacchierano nella tavernetta la telecamera inquadra una bottiglia di Johnny Walker Black Label (graziarcazzo che poi la bottiglia a te ti costa 120 euri, con quello che hanno speso per piazzare il prodotto);
  • La fotografia. Ho sentito gente dire che il secondo film è cupo come il primo, che trasmette lo stesso senso di ansia e di disperazione per la condizione umana, che è un po’ come guardare dentro un abisso di oscurità. Mi permetto di dissentire. Fortunatamente il secondo film non è nemmeno lontanamente cupo come il primo, presentando scene che sono sì poco luminose ma decisamente illuminate. Purtroppo però tende a sopperire alla scarsa cupezza con la monotonia. Tutte le scene sono un trionfo del tono su tono, al punto che a volte si fa fatica a trovare i personaggi sullo sfondo.

Passiamo ora agli elementi distintivi:

  • La trama. Ovviamente, essendo un seguito, si richiede alla trama un’abissale differenza da un punto di vista narrativo (altrimenti sarebbe un rifacimento) unita ad una sostanziale aderenza ad un ben definito scheletro di filosofia e costruzione dell’ambientazione. Purtroppo non sono riuscito a trovare nessuna delle due. La trama è abbastanza somigliante a quella del primo film: un poliziotto indaga per trovare e magari anche uccidere dei replicanti. L’ambientazione invece cambia drasticamente, a volte anche in modo retroattivo e sconclusionato, creando anche buchi nella trama. Nel primo film i replicanti erano una specie di accrocchio di parti robotiche e parti biologiche (in percentuale non nota, ma gli occhi venivano montati alla fine, come i cerchioni di una Lexus), tali da sembrare umani ma non esserlo veramente. Nel secondo film ci viene spiegato che i replicanti, anche quelli del primo film, sono una specie di esseri umani clonati e forzuti (e sterili) che nulla hanno di robotico. Insomma passiamo da Westworld a Star Wars: Episodio 2 – L’attacco dei cloni. Questa potrebbe sembrare una differenza da poco, ma capirete anche voi che se un film si basa sull’esplorazione del concetto di “essere (verbo) umano” vi è un’abissale differenza tra delle macchine che prendono coscienza di se stesse e dei cloni sfruttati come fossero macchine. Nel primo caso, possiamo avviare un lungo ed interessante dibattito filosofico su cosa significhi la parola “umano”. Nel secondo iniziamo a cantare Amazing Grace e il dibattito muore lì. Il fatto che questo cambiamento nell’essenza del problema centrale dei film sia anche retroattivo mi fa pensare che gli sceneggiatori fossero a corto di idee e non sapessero come trascinare lo spettatore dalla parte dei replicanti. Questo però ha reso le ultime scene del secondo film come una specie di rifacimento spirituale degli ultimi due film della serie Hunger Games (l’unica differenza è che alla Lawrence l’armata rivoluzionaria dà un arco mentre a Gosling dà una pistola)…
    Da questo peccato originale derivano un sacco di buchi nella trama.
    Se una popolazione possiede macchine volanti ed è in grado di compiere viaggi interplanetari, mentre nel primo film non è stata capace di creare cloni completamente asserviti, perchè ritentare anche nel secondo film? Non potevano costruire macchine non umanoidi a controllo numerico e finirla lì, visto che con l’ingegneria meccanica se la cavano meglio?
    Se sulla Terra ci sono così tanti cloni e così pochi umani veri che le nuove generazioni di cloni vengono assunte dalla polizia per uccidere le vecchie, a che scopo affannarsi? Non solo è un’impresa antieconomica, ma è destinata a fallire. Non sarebbe meglio evacuare i pochi umani e sterminare tutti gli esseri viventi della Terra (a causa dei disastri ambientali sono rimasti solo uomini e replicanti) per poi ripopolarla secondo necessità? Oppure si potrebbe accordarsi coi cloni e spartirsi la devastazione radioattiva. No, meglio creare cloni per uccidere cloni che uccidono altri cloni.
    Se Jared Leto ha già prodotto e venduto milioni di cloni adulti sterili senza bisogno di aiuto, che cosa gli fa pensare che produrre un gruppo di cloni fertili e inseminarli in modo che partoriscano cloni neonati gli farà risparmiare tempo e denaro? Se buona parte di questi cloni si ribellano ai padroni, cosa gli fa pensare che la produzione di cloni (adulti o neonati poco importa) possa essere un’impresa economica con buone prospettive di reddito nel lungo periodo?
    Se nella società che ci viene presentata nel film è normale clonare esseri umani per poi sfruttarli molto peggio degli schiavi nelle piantagioni di cotone in Virginia (Jared Leto si diverte a sbudellarli senza motivo), e uccidere un clone non infastidisce le persone più di quanto le infastidirebbe uccidere una mosca (di fatto, la mosca è un animale quasi estinto e ucciderla sarebbe peccato), cosa fa pensare all’avanguardia comunista di liberazione dei cloni (e alla polizia di Los Angeles) che il fatto che una replicante abbia partorito possa cambiare i loro rapporti con gli esseri umani? Di fatto, stando a quanto viene ripetuto dall’inizio del film, tutti i replicanti non sono altro che esseri umani clonati e forzuti: se ciò non muove i padroni a compassione il fatto che si riproducano non cambierebbe certo le cose.
    Com’è che, in un mondo dove perfino l’ologramma da compagnia del protagonista è autocosciente, l’unico che gira a vuoto come un novantenne affetto da Alzheimer (absit iniuria verbis) è proprio il protagonista?
  • I dialoghi. Il primo Blade Runner era parco di dialoghi. Era un’esperienza straniante di solitudine in un mondo morente. Quando un dialogo c’era, era spesso portatore sano di tragico lirismo (“I want more life, Father!”). Il secondo film invece non solo è molto più verboso, ma nonostante l’abbia visto pochi giorni fa stento a ricordare anche una sola frase.
  • Gli attori. “Sticazzi che sono cambiati, sono passati 35 anni!” direte voi. “Avete ragione, ma sono cambiati in peggio!” rispondo io.
    Al posto di Harrison Ford ora c’è un pensionato fuggito in pigiama dalla casa di riposo. Mi dicono dalla regia che è proprio Harrison Ford.
    Al posto di Rutger Hauer c’è Ryan Gosling, e niente, fa già ridere così. Dicevano che Gosling fosse inespressivo, prima che recitasse in questo film, e io lo difendevo. Blade Runner 2049 mi ha aperto gli occhi: avevano ragione gli altri. Ryan, se stai leggendo questo mio scritto, ascolta il mio consiglio: abbandona il cinema e vai a zappare.
    La povera Robin Wright Penn, come ha scritto l’Economist, sembra fuggita dal set di Dredd, sia per come è vestita sia per come si muove e parla. Sempre accigliata peggio di Brad Pitt in Bastardi Senza Gloria.
    Jared Leto è l’unico membro del gruppo che vada oltre il mero mestiere. Evidentemente si trova a suo agio nel ruolo di personaggi strani e psicotici borderline.
  • Il gancio per un seguito. Il primo film non aveva un gancio per il seguito, ma erano gli anni ’80 e i registi pensavano ancora che fosse più importante raccontare una storia e raccontarla nel modo giusto che fare cinque o sei film in serie. Ora invece siamo nel XXI secolo, e se possiamo farci una serie di dieci film ce ne sbattiamo della credibilità del progetto.

Per il resto, si tratta di un film poco originale, che scopiazza idee ovunque, dalla scienza alla storia, da altri film alla letteratura, tranne dove dovrebbe trovarle, il primo Blade Runner, dal quale eredita solo la datatissima musica. L’unico modo di rendere il tutto potabile sarebbe stato lasciar perdere il primo film ed iniziare una serie originale.

Purtroppo lavorare su idee originali è una cosa che fa molto anni ’80.

Nel complesso un film che più che trasportare si lascia sopportare, che seppellisce i rari momenti di tensione in un immenso oceano di grigiore e architettura brutalista, forse non troppo lento ma decisamente troppo lungo (o vice versa, decidete voi), un vuoto pneumatico in una splendida confezione, tanto rumore per nulla, un’opera che come un’ostrica dorata, ha il sapore dell’inutilità ben avvolta nello sfarzo.

P.S. quanto scritto sopra contiene SPOILERS!