Voy tirando

Scrivere per non pensare

Tag: disperazione

Le cinque cose da non fare se volete conquistare una ragazza.

Come chiunque tra voi che abbia letto uno dei miei precedenti articoli avrà ormai capito, non ho passato i miei 27 anni di vita nel vuoto. Posso dire con orgoglio di aver conosciuto decine e decine di ragazze, e di essere riuscito a non avere una relazione con nessuna di esse. Da questa mia pluriennale esperienza nasce questo mio articolo, con lo scopo di mostrarvi gli errori da me compiuti, in modo che possiate evitarli ed avere maggior successo. Partiamo dunque con la disamina, in ordine di gravità, dei comportamenti da evitare:

1) Vedere una ragazza. Siete in un bar affollato, da soli o con amici, e state bevendo la vostra birra, quando ad un tratto vi girate e la vedete: un essere umano di sesso femminile della vostra stesa età. Ed avete già fatto il primo errore. Le femmine della razza umana sono come i gatti, percepiscono i campi elettromagnetici, e non hanno bisogno di vedervi per sapere di esere state viste da voi. La ragazza, sapendosi vista, si spaventerà, e sarà molto difficile per voi recuperare la situazione.

2) Farsi vedere da una ragazza. Un altro errore che compio quasi sempre è questo: faccio in modo che una ragazza mi veda. Alcuni di voi potrebbero obiettare che un contatto visivo è fondamentale per una proficua relazione. Sbagliato! Le donne hanno una vista paragonabile a quella di un’aquila. Nel momento stesso in cui vi esponete al loro sguardo, mostrate loro tutta la vostra insostenibile bruttezza. Dopo un errore del genere, una buona metà delle ragazze che incontro fugge senza finire il proprio Martini.

3) Avvicinarsi ad una ragazza. La ragazza media non rimane ferma abbastanza a lungo, dopo che avete commesso i due errori precedenti, per permettervi di avvicinarvi. Nel caso lo faccia, vi troverete molto probabilmente a commettere quest’altro errore madornale. Come le linci di montagna, le ragazze sono animali solitari, a cui non piace essere avvicinate. Generalmente, entro i tre metri cominceranno a tremare ed a rizzare il pelo inarcando la schiena, e una volta che sarete a meno di due scapperanno soffiando.

4) Rivolgere la parola ad una ragazza. Alcune ragazze nascono male, con un handicap diciamo, e non hanno le normali reazioni descritte sopra. Questo le rende molto più vulnerabili ad un approccio da parte di un uomo. Ma non lasciatevi ingannare: anche la ragazza più malaticcia, anche quella con la ghiandola pituitaria deficitaria, è una fiera avversaria. Le donne infatti, come i cani, sono in grado di fiutare la nostra paura. Una donna nata male, che non sia già scappata, fiuterà la paura nella vostra voce e, sentendosi messa alle strette, vi azzannerà senza pietà prima di scappare.

5) Tentare di rivedere una ragazza. Ed ecco l’errore madornale, quello che rovina sempre tanti uomini, me incluso. Poniamo che avete conosciuto una ragazza ridotta proprio male, una che non abbia le naturali difese proprie della sua razza, e siate riusciti a parlarle. A questo punto vi sentirete abbastanza sicuri, credendo, a torto, di aver ammansito la ragazza, e che sia possibile, magari, potersi avvicinare in futuro senza problemi. Questo è l’errore più grande: la donna è come il giaguaro che, ammansito una volta, quando lo re-incontrerete non si ricorderà di voi. Dire ad una ragazza che volete rivederla è un errore in sè, ed anche il modo più sicuro per ripetere uno degli errori di cui sopra e farla scappare.

Bene, ragazzuoli, eccovi spiegato cosa non fare quando volete conquistare una ragazza. Abbiate fiducia, seguite i miei consigli ed in men che non si dica conoscerete le gioie di una sana vita di coppia.

Partire è un po’ come andare da un’altra parte.

Visto che domani parto per le immeritate vacanze invernali, ho pensato fosse bene scrivere qualcosa per celebrare il momento. Non volendo parlare di buoni propositi per l’anno nuovo (che uno si ripropone sempre la solita triade: smettere di bere, smettere di drogarsi, iniziare a scopare), e non volendo nemmeno stordirvi con una lista di cose che voglio fare/vedere in vacanza, ho deciso di buttarla sul filosofico e di spiegarvi cosa significa per me partire.

Ebbene, partire per me significa smettere di esistere. Io non vado a Parigi (o a Berlino, o a Cinisello Balsamo), io esco dalla realtà. Al contempo, un Altro, uguale a me, entra nella realtà. L’Altro vive al posto mio per quei pochi giorni in cui io sono via. Poi, finito il viaggio, esce di scena e ritorno io.

A volte la sostituzione è improvvisa. Prendo un aereo vicino a casa, e l’Altro scende dall’aereo a destinazione. Non me ne accorgo. A volte è graduale. Salgo sul treno, e gli spigoli vivi dei sedili scambiano a poco a poco parti di me con parti dell’Altro. Posso quasi percepire il cambiamento (o forse è il dolore articolare).

L’Altro ed io non siamo molto amici. Lui fa scelte che non sempre condivido. A dirla tutta, io dell’Altro a volte ho un po’ paura: non so mai come reagirà davanti ad una situazione. Ma non è cattivo, è solo più impulsivo di me.

Ogni volta, prima di partire, mi trovo a smettere di fare ciò che sono abituato a fare, perchè so che mentre sarò via l’Altro avrà priorità diverse. Inoltre, c’è sempre il rischio che io non riesca a tornare. Finora mi è andata bene.

Come ho detto all’inizio, domani parto. Salutatemi l’Altro, se lo vedete in giro. Lui vi scriverà cartoline, firmando col mio nome, salutandovi per conto mio. Come ho detto, in fondo l’Altro è una brava persona.

Ma una coltellata no?

Ci siamo quasi, è di nuovo quel meraviglioso periodo dell’anno, siamo finalmente nelle due settimane prima del 31 Dicembre. Capodanno. Questa parola che ai più fa venire i brividi ma che ad alcuni particolarmente sensibili mette in moto le manie suicide (Capodistria no, questa fa venire in mente solo reminiscenze irredentiste). Ricordo di aver letto quest’estate un libro di Nick Hornby che cominciava proprio con un tentativo di suicidio a Capodanno (e visto che lo chiedete a gran voce vi dico subito che si trattava di A Long Way Down).

So che probabilmente lo avrete già sentito dire da chiunque, ma Capodanno è così orribile per molti perchè si tratta di quell’unico momento in tutto un anno in cui si è obbligati a divertirsi. Unico davvero se ci pensate. Potete affogare in una pozza del vostro stesso sangue fuori da una chiesa la vigilia di Natale senza che nessuno si lamenti, ma se non fate qualcosa di assolutamente speciale a Capodanno preparatevi a sentirne di ogni.

Una strana e triste forma di pressione sociale obbliga il mondo intero ad organizzare le peggio stronzate per il 31 Dicembre, per timore di non aver niente da dire agli amici il week-end successivo (perchè il giorno seguente se gli va bene non staranno nemmeno in piedi). Pensateci bene, guardate dentro voi stessi, e provate a dirmi in tutta sincerità che ciò che farete tra il 31 Dicembre e l’1 Gennaio è veramente ciò che desiderate. Vi do tutto il tempo di cui avete bisogno, tanto so già che non ce la farete.

L’unico modo di scampare a tutta questa pressione, salvando la faccia di fronte agli amici e sentendovi a posto con voi stessi, è il certificato medico. Una tonsillite vi autorizza ad essere giù di morale mentre accompagnate gli amici in discoteca, mentre l’ebola (od un’altra febbre emorragica a scelta) vi autorizza ad autoescludervi da feste e cazzate varie. Non tutti però sono deboli di gola, o possono permettersi un paio di settimane di volontariato in Liberia. Dunque come fare? Ovviamente la cosa migliore è una coltellata ben piazzata: non solo potrete starvene caldi e tranquilli a riposare all’ospedale, ma quando uscirete (se uscirete) potrete mostrare a tutti la cicatrice e raccontare con orgoglio di come siete scampati alla morte (le solite cose tipo: “Io ho perso un litro e mezzo di sangue e ho fatto un mese in terapia intensiva, ma dovreste vedere com’è conciato l’altro!”).

Io per mio conto mi troverò all’estero, da solo, al freddo, probabilmente senza cibo. Mi ritroverò lungo qualche vialone completamente ubriaco alle 06:00 di mattina, senza aver fatto nulla che valga la pena di ricordare. Tutto per poter dire al ritorno le solite frasi fatte del tipo: “Parigi è bella ma non ci vivrei.”; “Hanno dei bei ristoranti, ma come si mangia in Italia…”; “Come fanno festa lì non la fanno da nessuna parte!”; “Le parigine sono delle figone pazzesche, e molto disponibili!”. Se non fossi così poco fantasioso (se non fossi altresì un nerd sfigato) potrei anche inventarmi qualche assurda prodezza (un threesome con due gemelle estoni sarebbe l’ideale, con bonus per l’invenzione di posizioni impossibili da un punto di vista anatomico), ma in quest’epoca di smart-phones e wi-fi credo che sarebbe difficile spiegare l’assenza di testimonianze fotografiche…

In ogni caso sarà sempre meglio che rimanere da solo in casa e il giorno dopo non poter dire altro che: “Alle 10:00 mi sono rotto di aspettare e sono andato a letto…”. Con un Capodanno del genere non ti invidierebbe nemmeno un ostaggio dell’Isis.

Problemi di coppia

Fino a poco tempo fa ero un ragazzo ingenuo. Non vedevo. Non sapevo. Non avevo mai avuto problemi di coppia, non facendo parte di una coppia, e credevo che, perdurante nonostante i miei sforzi questo stato di cose, avrei continuato a rimanerne esente.

Mi sbagliavo.

Il problema è che, per quanto tu (e qui il tu significa io [ma se vuoi anche tu]) possa essere un nerd sfigato che con una donna non riesce ad andare oltre il buongiorno/buonasera (e comunque solo dopo il terzo appuntamento), ti troverai inevitabilmente immerso in una società formata da gente di successo che non ci pensa due volte ad instaurare relazioni amorose e coabitazioni more uxorio. Come diceva il Belli buonanima, “E doppo? Doppo viengheno li guai.
Ebbene sì, per quanto belli, ricchi e di successo i vostri amici possano essere, anche loro incapperanno invariabilmente nei problemi di coppia. I loro problemi di coppia, poi, per proprietà transitiva diverranno anche i vostri (e qui il vostri significa nostri) e voi (e qui il voi significa noi), che non sapete nemmeno distinguere il lato A di una donna dal lato B, sarete costretti a soffrire a causa di problemi che non vi tangono minimamente.

Ma passiamo ad un esempio pratico. Roberto e Giada (nomi del tutto reali e non modificati di miei [e qui il miei significa proprio miei] amici) si amano. Si amano a tal punto da dimenticare anni ed anni di memoria collettiva e di battaglie per il divorzio e decidere di andare a convivere. Roberto e Giada erano persone normali prima della convivenza, con esigenze normali e problemi normali. Ora sono cambiati. Ora le esigenze ed i problemi li affrontano insieme. Però… Però… Però c’è un però che rende questo quadretto romantico odioso per chiunque gli stia intorno: Roberto e Giada parlano, purtroppo non solo tra loro. Ed è così che, in men che non si dica, quelli che erano minuscoli problemucci di coppia diventano orribili tragedie pubbliche: quanto spesso va di corpo lui, a che livello della Bristol Stool Scale le sue feci si inseriscano, quanto lei sia stonata sotto la doccia, quanto lui sia ridicolo mentre annaffia le begonie in accappatoio fuchsia, quanto sia duro il polpettone che lei prepara la domenica etc. etc. etc.

Questo comportamento, che inserito in una sit-com qualsiasi le farebbe ottenere un buon successo di pubblico, nella vita reale funziona al contrario. Di fronte ad una coppia di amici che parla dei piccoli problemi quotidiani, la digestione si blocca, il vino perde sapore, l’euforia alcolica si smorza e, nei casi peggiori, ci si ritrova a serata finita, sulla via di casa, a cercare di autoconvincersi che le donne (o gli uomini, a seconda del vostro genere e dei vostri gusti) sono il male e che si sta meglio da soli.

Insomma, per concludere: Robi, Giadina, vi voglio bene, ma se volete che anch’io in futuro abbia una vita coniugale, vi prego, per ora, mantenete il più stretto riserbo sulla vostra!

Per Natale vorrei…

A volte mi prende la voglia di scrivere un bel post denso di pathos e dramma emozionale. Vorrei scrivere di come mi sento solo senza una presenza femminile nella mia vita, di come la mia vita sia vuota e senza uno scopo, di come mi senta non solo inutile ma addirittura parassitario, di come ogni nuovo giorno che Dio manda su questa terra rafforzi in me la convinzione che la morte sia la condizione che più si addice a gente come me. Stavo per scrivere un post del genere anche adesso. Poi ho pensato ai poveri spam-bots (cino-coreani) e alle povere spam-bottane (giappo-vietnamite) che frequentano in mio blog impestando la sezione dei commenti con internet-scams vagamente mascherate da offerte commerciali. Non credo la prenderebbero bene nel vedermi crogiolare nella più nera disperazione. Non credo la prenderebbero. Punto.
Ecco perchè, invece di parlare di quanto la mia vita faccia schifo, ho deciso invece di scrivere la mia wish-list per questo Natale. Lo so, abbiamo da poco passato la metà di Novembre e, come disse Clementine, sono “peggio di un centro commerciale”, ma che ci volete fare: il saggio dice estote parati.

Per iniziare, un desiderio facile facile: vorrei che tra Italia e Francia non ci fossero deragliamenti ferroviari il giorno di Natale. Ho sempre odiato l’aereo e, ogni volta che vado in vacanza, se possibile scelgo il treno. I vantaggi sono numerosi. Innanzitutto il panorama: riuscire a distinguere le persone fuori dal finestrino può sembrare futile, ma un volo di 8 ore sopra l’Atlantico vi farà cambiare idea. Dipoi, il ridotto tasso di mortalità: che ce lo so che i disastri aerei sono un numero infinitesimale rispetto al numero dei voli, ma il fatto che non sopravviva mai nessuno me li rende particolarmente odiosi, mentre nei disastri ferroviari ci sono buone possibilità di sopravvivenza. Tertium, la possibilità di socializzare: in aereo si è bloccati al proprio posto, mentre sui treni a lunga percorrenza ci sono il bar, il ristorante e la pausa sigaretta in stazione. Per tutti questi (ed altri) motivi il giorno di Natale sarò in treno diretto a Parigi. Per questi (ed altri) motivi gradirei che il treno non avesse incidenti.

Il mio secondo desiderio è un po’ più egoistico: vorrei che Meghan Trainor perdesse la voce. Mi ha semplicemente rotto il cazzo. Ok, ha ragione, agli uomini piace afferrare (e non solo afferrare) un bel culo abbondante ogni tanto, ma finisce lì. Non c’è bisogno di farne una canzone e spaccare i coglioni per dei mesi. Tanto più che tra la faccia da strega assetata di soldi e la voce eccitante come il suono delle unghie su di una lavagna, il culo grosso dovrebbe essere l’ultimo dei suoi problemi. Dai cazzo! E non fatemi parlare del suo accento: ma dove cazzo è cresciuta, a Trenchtown?

Come terzo desiderio, vorrei che non mi si rompessero i lacci delle scarpe mentre sono in vacanza. Trovare il laccio giusto per la scarpa giusta era già difficile nel secolo scorso, ma ora che la moda maschile ha sdoganato i lacci colorati anche sulle scarpe classiche, sostituire un laccio rotto è diventata un’odissea. Se a questo aggiungiamo che nessuno vende colori che non siano ocra e testa di moro…

Il quarto desiderio è la neve. Non potete immaginare quanto sono stanco degli inverni senza neve. Nessuno può capire cosa voglia dire, la sera di Natale, assiderare in un vicolo, con le mani che sanguinano per il freddo, e nemmeno un fiocco di neve. Robe che se qualcuno ti fa una foto, l’anno dopo non capisci più se è stata fatta in inverno o in estate.

Il quinto desiderio è il più egoistico (amorale direi) di tutti, ma d’altra parte questa è la mia lista. Vorrei passare la sera di Natale in compagnia.

Ελευτερία και Θάνατος

Ho amato il liceo. L’ho amato con tutto il cuore.

Ho amato le sue strutture. Ho amato le sue antiche mura, testimoni inconsapevoli di secoli di orrori. Ho amato i suoi corridoi, freddi d’inverno e caldi d’estate, utili a temprare nel corpo i giovani venuti ad essi per temprare la mente. Ho amato il grande, selvaggio giardino, sempre pervaso da profumi mediorientali. Ho amato le aule, piccoli esperimenti sociali dall’esito scontato. Ho amato i cessi, di gran lunga gli ambienti più puliti. Ho amato i distributori automatici, ma talvolta si deve fare del male proprio a ciò che più si ama.

Ho amato i suoi abitanti. Ho amato i piccioni, sempre pronti a lordare ogni cosa coi loro vili escrementi. Ho amato le zecche, così a loro volta piene d’amore per gli altri esseri viventi da non fare distinzione tra il sangue di un piccione e quello di uno studente, sempre pronte a concedere la loro bocca a chiunque passasse loro vicino. Ho amato gli inservienti, anche se ci ho messo cinque anni a capire che, secondo molti di loro, il prefisso “in-” all’inizio della loro mansione era l’equivalente latino di un alfa privativo. Ho amato i professori, bistrattata categoria umana sempre al limite tra la crisi di nervi ed il TSO, sempre pronti a riversare sugli svogliati studenti anni di abusi da parte del dirigente scolastico, salvo poi promuoverli tutti, don’t let the door kick your ass, novit enim Dominus qui sunt eius. Ho amato il preside, uomo dall’agile mente, nato già vecchio, la cui soluzione a tutti i problemi era una biliosissima circolare. Ho amato il corpo studenti, persone caratterizzate dalla mente aperta come il caveau di Fort Knox e dalla malleabile volontà di riuscire. Ho amato le studentesse, con le quali potevo parlare per ore di religione, a patto che non postulassi mai, nemmeno per assurdo, l’esistenza di Dio. Ho amato le studentesse, con le quali potevo parlare per ore di politica, purchè mi attenessi strettamente ai dettami del PCUS. Ho amato le studentesse, ieri e domani. Ho amato gli studenti, in classe per cause di forza maggiore. Ho amato gli studenti, porci con le perle. Ho amato gli studenti, proprio perchè non ci siamo mai capiti.

Desire or lack thereof

“As you wish” she said
“Not as I wish” I replied
As if I could wish to forget
Let go of you of her of them
Just not to feel the squalidity
Of forged coincidencies just not
To feel filthy for something
I can’t even bring myself
To say or do as I wish.

Intrinsic unctuosity of relations
Lubricate your Ego well
Lest they sense
Your movements
As you enter their lives
Anæsthetize
Their mind and soul
In as a needle
Out as a pike.

It’s not war, just another Easter…

Eccoci di nuovo qui, la Pasqua incombe (Buona Pasqua a tutti!). E con la Pasqua sono tornate le “Guerre Vegane”. A certi non piace la carne, certi altri sono contro le crudeltà sugli animali, altri ancora vorrebbero distruggere l’industria dell’allevamento. Quello che tutti hanno in comune è il rifiuto dell’agnello come portata principale del pranzo pasquale.
Io non ho mai mangiato agnello, per qualche irrazionale motivo non mi attira, ma posso considerarmi un carnivoro, e da carnivoro ho trovato alcune incongruenze nella propaganda anti agnello.
Innanzitutto l’appello a non mangiare agnelli viene ripetuto solo nel periodo pasquale. I musulmani mangiano agnelli tutto l’anno, chi alleva ovini pure, in molti ristoranti si possono trovare pietanze a base di agnello ogni giorno, ma chissene fotte, ogni giorno non è Pasqua.
Vegano 1: “Ohccheschifo, quel bruto sta macellando un agnello!”
Vegano 2: “Non rompere, mancano 6 mesi a Pasqua!”
In secondo luogo, mangiare l’agnello è da barbari, mentre a nessuno importa se qualcuno si mangia un cinghiale, un capriolo, un tacchino o un cucciolo di foca.
Bambino: “Guarda mamma, quel signore cattivo sta mangiando carne!”
Genitore 2: “Lascia stare, Cicci, è solo un cucciolo di foca!”
Proseguendo, uccidere un’innocente agnellino di pochi mesi è crudele, ma ucciderlo da adulto è perfettamente normale.
Bambino: “Papà, quel cattivone sta uccidendo un agnellino!”
Genitore 1: “Non spaccare il cazzo, Giangi, è solo una pecora!”
Insomma, da carnivoro mi sembra che ci siano tanti pesi e tante misure nell’indignazione anti-agnello. Sembra quasi di vedere, più in piccolo, la grande battaglia pacifista che si scatena ogni volta che una nuovissima, splendida, manichea guerra deflagra in qualche minuscolo, abbandonato ed irrilevante paese. Quando le SS Ruritane invadono la pacifica città-stato di Quodlibet, ed un bambino, salito su di un albero per ammirare l’armata conquistatrice in parata nella capitale, cade e si rompe una gamba, tutti i pacifisti, attirati da questa notiziabilissima guerra da copertina, inizieranno a sputare sui crudeli ruritani, causa di tanti disastri per i bambini, mentre nessuno spenderà una lacrima per le migliaia di morti nei campi di lavoro in Cina o per i dissidenti incarcerati a Cuba.

Culture will tear me apart, again…

Non sono una persona di grande cultura. Ho letto qualche centinaio di libri e imparato qualche lingua e questo è quanto. Chi di voi potesse osservare la mia biblioteca noterebbe anche un certo trend nelle mie letture, ma nulla che sia sopra la media. Orbene temo che questa pur ridotta cultura stia diventando sempre più un fardello nella mia vita di tutti i giorni.

La cultura (di qualsiasi tipo) lascia cicatrici profonde su chi le si avvicina, cicatrici impossibili da rimuovere. Ogni nuovo libro letto è come una specie di Vietnam cerebrale, con sangue, napalm e PTSD. What you’ve seen cannot be unseen. Avviene così che quella che a molti sembra la via per aprire la mente possa essere anche una via per chiudersi agli altri.

Per ogni nuova persona che incontro, la prima cosa di cui mi accorgo è se ha seguito un percorso culturale simile al mio. Se ha studiato il greco ed il latino, se sa l’inglese, se ha un’idea di cosa pensasse Platone, se si rende conto di quale grande capolavoro musicale sia Quadrophenia degli Who. Se vedo che non sa a memoria almeno un sonetto di Shakespeare, una poesia di Spoon River, un distico di Archiloco, un testo di Pete Townshend, perdo rapidamente interesse per la conversazione e più in generale per la persona. La cosa è ancora peggiore con le donne: sono più eccitato dall’idea di poter sostenere con loro una fluida conversazione in inglese che dall’idea di avere con loro rapporti sessuali. In ogni caso come potrei avere rapporti sessuali con una donna che non ha mai ascoltato “Love, Reign O’er Me“? Il tutto si ridurrebbe ad uno sterile e freddo esercizio di biomeccanica applicata.

Credo che tutto ciò sia dovuto ai moderni mezzi di comunicazione ad alla cultura massificata. In un mondo in cui chiunque può ottenere almeno un’infarinatura culturale a costo zero, in un mondo in cui ormai il genere umano somiglia sempre più ad una gigantesca hive-mind, non riesco a concepire che vi siano ancora persone che in un modo o nell’altro non abbiano ricevuto il mio stesso imprinting. Mi sembra assurdo che ciò che più ci unisce come gruppo/specie finisca anche per portare i singoli individui alla solitudine. Mi fa rabbia sentire di avere più cose in comune con un greco del 600 a.C. che con un mio concittadino.

Credo

Credo che la libertà sia solo un inutile concetto astratto, un vuoto ideale. Ciò che conta è il potere, indicativo presente. Essere liberi di fare qualcosa non significa potere fare qualcosa, ma potere fare qualcosa nella maggior parte dei casi significa essere liberi di farla. In Libia hanno abbattuto il tiranno, ed ora sono meno liberi di prima, perché la povertà e la guerra endemiche hanno tolto a chi ha combattuto ogni genere di potere, sia verbo che sostantivo. Lo stesso è successo in Tunisia. Lo stesso succederà in Egitto. L’agricoltore abbandona i campi a maggio per combattere per la libertà, ma a dicembre, sconfitto il tiranno, è ormai ridotto a mendicare. I poveri e i morti non sanno che farsene della libertà.

Credo che i diritti siano solo inutili orpelli dell’impotenza umana. L’elogio di un ordine delle cose che non è mai esistito e mai esisterà. Argomenti di conversazione buoni per i salotti, tra un bicchiere di vino ed una tartina al caviale. Le vittime degli attentati palestinesi avevano diritto alla vita. Gli operai della Firem avevano diritto al lavoro. La realtà è molto più simile ad un naufragio su di una nave di linea, dove sui ponti inferiori, tra cannoni che rompono le corde e rotolano liberi schiacciando gli artiglieri, ognuno tenta di fuggire come può, calpestando le teste e i diritti di chi è più sfortunato di lui per raggiungere la salvezza. La guerra non è una temporanea sospensione dei diritti: la guerra è una finestra sul mondo com’è in realtà.

Credo che l’uguaglianza tra i popoli, le razze, le culture sia un dio bicefalo al quale dovremmo smettere di sacrificare. Un mostro che divora se stesso. Mentre la maggior parte della gente vede la faccia bella e pulita dell’uguaglianza, i bambini di vari colori che giocano assieme, gli omosessuali che si sposano felici (e magari poi divorziano ancora più felici), le rivendite di kebab che fanno affari d’oro, uomini e donne che percepiscono stipendi uguali, la faccia brutta e sporca lavora indisturbata, creando nuove forme di discriminazione: il femminicidio, che non è altro che una forma di sessismo, lo stato che decreta la disuguaglianza tra uomini e donne per legge e se ne lava le mani; i reati d’opinione, che dovrebbero salvarci dalle assurde idee dei novelli Hitler di provincia ma che al tempo stesso discriminano questi poveri minorati e limitano una delle poche libertà senza un costo di esercizio, quella di parola.

Credo che l’idea del “Tutto per Tutti”, quello che ci ha spinti fuori dalle caverne, tra i vicoli bui, verso lo spazio, sarà la nostra rovina.