You say New York, New York is dangerous…

Visto che la mia situazione sentimentale è “esco a cena con due ragazze contemporaneamente perchè tanto non c’è trippa per gatti”, posso comodamente spendere un’oretta del mio tempo, che avrei altrimenti dovuto dedicare a cercare un regalo all’ultimo momento per la mia potenziale girlfriend, per parlarvi di New York. Questo sarà un post vagamente onirico, sconnesso e non garantisco la consecutio temporum.

Partiamo dal presupposto che descrivere New York è difficile. Ognuno, me compreso, nasce con già prestampata un’immagine mentale di questa città, un’immagine che nemmeno l’incontro con la città reale può scalzare. Per chi non c’è mai stato New York è soprattutto uno stato mentale, il non luogo dove tutte le cose più strane prendono forma. Si tratta di un’immagine così forte che anche metre scrivo mi sta costantemente davanti.

Per riuscire a descrivervi meglio il posto, inizierò con lo spiegarvi come ci sono arrivato. Un giorno, a pranzo, ho annunciato che sarei andato ad Istanbul in treno. Tre settimane dopo, cedendo alle pressioni dei familiari che ritenevano quella città troppo pericolosa (erano i tempi degli eroi e delle leggende, erano i tempi dei moti di piazza in Turchia), ho accettato di accompagnare un’amica di mia madre e sua nipote a New York. Di loro posso solo dire che sono persone ottime, ma con interessi diversissimi dai miei: questo però l’ho capito pienamente solo in loco. E fu così che a metà Luglio 2014 mi sono imbarcato su un volo Delta Airlines per l’America.

New York ti stordisce subito, fin dall’arrivo, quando l’aereo si avvicina all’aeroporto e tu dal finestrino vedi gli Hamptons e le scie dei motoscafi nell’Atlantico, e cominci a chiederti se non era meglio andare direttamente negli Hamptons invece che in una caotica metropoli piena di macchine. L’aeroporto JFK poi è una trappola per turisti claustrofobici: c’è una linea della metropolitana a basso costo con la quale arrivare a Manhattan, ma guarda caso il mezzo più segnalato è il taxi. Il costoso taxi.

Dialogo (vero e senza tagli od omissioni) tra me (abbreviato in L) ed il taxista pakistano (abbreviato in T):

T – So, how do you like my driving skills?
L – Well, I’d say you are a good driver: thirty minutes in the traffic, and we haven’t crashed yet.
T – You know what they say of New York taxi-drivers: if you don’t have an accident a day, you are doing it wrong!

Il mio albergo era più cool di quello delle signore. Avevo un rooftop bar affollato di gente ogni sera e nonostante la mi stanza fosse delle dimensioni di una cella singola a Rebibbia era nondimeno dotata di tutti i comfort del caso. L’unico appunto che mi sento di fare riguarda l’acqua del rubinetto, così addolcita da risultare corrosiva per la pelle e praticamente inutilizzabile dal corpo: più ne bevevo più mi veniva sete. E pure la doccia, che costringeva a far scendere il getto massimo di acqua fredda prima di poter aprire la calda, non era il massimo. E le finestre erano anti suicidio, e non si aprivano più di una spanna. Il personale invece era gentile e preparato, e l’impressione complessiva era ottima. Era poi situato in una zona centralissima, sulla East 39th street, che mi permetteva di uscire al mattino, girare a destra ed avviarmi verso Park Avenue, 5th Avenue e tutto ciò che di artistico museale c’era da vedere e di uscire la sera, girare a sinistra ed avviarmi verso la 3rd Avenue e i vari pubs nei quali conoscere la fauna locale.

La città non è come voi la immaginate. Certo, molte delle cose che avete letto o sentito sono vere, ma sono i particolari che vi fanno capire la differenza.

Le strade sono per la maggior parte a senso unico, con la segnaletica orizzontale cancellata da anni di utilizzo. Se sognate di fare gli USA coast to coast, beh, la macchina conviene la affittiate a Jersey City, perchè da Manhattan non uscireste mai.

Gli skyscrapers sono tutti uguali, o per lo meno si ripetono con una certa frequenza, a tal punto che tolti quei due o tre famosi tipo Empire State Building, Rockefeller Center (la prima “e” in Rockefeller si pronuncia all’italiana, o almeno così la pronuncia Mr. Rockefeller Jr.) e One WTC non sentirete mai il bisogno di fissare lo sguardo su un edificio in particolare. Questo è anche uno dei motivi per cui ho adottato un approccio da New Yorker, detto anche “fottesega”, all’esplorazione della città, ed ho usato la metro ogniqualvolta fosse possibile.

Un buon motivo per usare la metro è che in metro può capitarvi di tutto, e per la maggior parte sono cose belle. Ho visto suonatori di ogni genere allietare le carrozze con ogni genere di strumento. Ho visto ragazze con anelli di fidanzamento dai diamanti grossi come ceci. Ho parlato di Dio con dei manic street preachers. Sono stato abbordato da una splendida ragazza eritrea. Un altro buon motivo è che solo Manhattan è lunga tipo venti kilometri da nord a sud.

Il museo di storia naturale prosegue nella metro.

Il museo di storia naturale prosegue nella metro.

La prima cosa (prima per importanza almeno) che vi colpirà quando tenterete di fare una passeggiata in una strada qualsiasi, è la presenza pressochè ovunque di impalcature. Una legge dello stato impone di controllare le facciate degli edifici più alti di un certo numero di piani ogni cinque anni, creando uno strano effetto concrete jungle. Vi troverete a passeggiare in un sottobosco di tubi d’acciaio che sorreggono le impalcature, tra i vapori che escono lentamente dai tombini, schivando gente che si muove in ogni direzione, immersi in un misto di odori che a tratti ricorda quello del fumo di una sigaretta di marijuana, anche se meno dolce.

La gente che cammina con voi è diversa. Trovare più di cinque persone ferme ad un semaforo ad una qualsiasi ora del giorno o della notte è un evento raro. I vestiti poi non sono vestiti, ma divise. Ho visto solo una ragazza vestita come ve la potete immaginare, per il resto è il regno del poliestere. L’uomo medio si mette camicia e cravatta perchè deve, ed è incapace di scegliere dei materiali decenti e di abbinare i colori. Le scarpe poi sono inguardabili.

L’oceano Atlantico è la comparsa di lusso nella storia. A Manhattan non si vede mai, circondata com’è dallo Hudson e dall’East River. Un treno della linea A della metro vi porterà a Far Rockaway Beach in 45 minuti. Il litorale è fantastico in quella zona, con una ventina di tipi di uccelli marini che becchettano i crostacei sul bagnasciuga. Proprio a causa loro la spiaggia è interdetta al pubblico, e sarete costretti ad andare a Brighton Beach per poter finalmente passeggiare lungo l’oceano. Brighton Beach che ha più in comune col Ponto Eusino che con l’America. Brighton Beach dove non sentirete mai parlare inglese. Brighton Beach dove farete finalmente un pasto decente a base di kharcho e pierożki.

Rockaway Beach.

Brighton Beach.

La metro è anche bella da vedere, con lunghi tratti sopraelevati nel Bronx, a Brooklyn e nel Queens, che rendono interessanti anche i più sordidi scorci di disperazione suburbana nei quali vi trovate a camminare. La metro sopraelevata vi permette di vedere posti che non vedreste mai altrimenti, come un enorme cimitero a Queens e le case di mattoni a due piani tutte uguali che si ripetono a perdita d’occhio.

Il disperato squallore suburbano.

Il disperato squallore suburbano.

La criminalità non è quella che pensate. La città è tranquilla e, nonostante i cartelli nella metro che invitano a tener stretti i propri averi perchè i ladri sono in agguato ovunque, non vi sentirete mai in pericolo. A volte però ci sono delle crepe nella facciata che lasciano intravedere cose più preoccupanti. Quindici poliziotti in tenuta d’assalto, con M16, che stanno per entrare in un anonimo edificio tra la East 58th Street e Madison Avenue. Certe strade a Rockaway dove non c’è una saracinesca alzata ma ci sono gruppi di minacciosi afro-americani che somigliano tanto ai villains of the week di una qualunque puntata di Law&Order SVU (I’m talking assault, battery and gang-rape here, man!). Certe ambulanze bloccate nel traffico, che fanno meno strada in un minuto di quanta ne fai tu a piedi in quattro secondi e mezzo. Una ragazza con la quale avete passato la serata in un locale sulla 3rd Avenue che non si sente sicura a tornare a casa verso le 4 del mattino.

Dialogo verbatim tra me (sempre L) e la ragazza, che chiameremo random blonde girl (o RBG) perchè non ricordo il suo nome:

RBG – Guess it’s time for me to go.
L – Will you take a cab or just walk it out?
RBG – I’m walking to the 42nd, to take the metro.
L – Guess I’ll come along for a little while, before a random girl tries to extort a taxi ride from me, again. My room’s on the 39th…
RBG – Lucky you. I’ve got to ride the metro all the way to South Bronx, and no, it’s not a nice place this time in the morning.
L – Is it so bad?
RBG – It’s not war, but it isn’t a place you want to walk alone.

New York’s tuff, man! New York tuff!

Le persone che si divertono con voi sono probabilmente l’unica cosa che corrisponde alla vostra immagine mentale. C’è il token African-american party-goer (“You should dance, mon!” “I’m not a dancing person…” “Everybody is a dancing person, mon! You should drink! The secret is to drink just enough to get crazy, stopping before you fall under the table!“) che ti tratta subito come un amico, ed ha ragione, perchè avete molto più in comune voi due che Renzi e Berlusconi. C’è il tipo che compie gli anni, che festeggia assieme ad un’amica che sta per sposarsi, e nessuno dei due fa una piega quando ti imbuchi nella loro festa. Ci sono menadi di Poughkeepsie e Schenectady, che le guardi ballare e non capisci più niente, salvo poi guardare una mappa il giorno dopo e chiederti come sono arrivate a Manhattan. Ci sono dei fottutissimi irlandesi che ti entrano in scivolata da dietro mentre ci stai provando con una tipa, salvo poi guardarti spaventati quando sollevi le tue giuste obiezioni (“Is he your boyfriend?” “No, he’s not my boyfriend.” “Ok, but, is he your boyfriend?“).

Credo che questa foto simboleggi alla perfezione come finivano le mie serate.

 

Il cibo è pessimo. Potete vagare in lungo e in largo, ma se non siete disposti a spendere cifre alte (tipo PIL di un piccolo stato balcanico) non riuscirete a mangiare decentemente. Anche spendendo poi il risultato non è garantito. Se come me non siete capitani d’industria, le scelte culinarie si riducono a McDonald’s e WokToWalk. Questo è probabilmente il motivo principale per il quale ho passato una settimana immerso nei fumi dell’alcool: dimenticare ciò che avevo mangiato a pranzo per convincermi a mangiare di nuovo a cena.

Certi locali vi stupiranno. Vi recherete a China Town una sera cercando un famoso speakeasy e verrete riportati indietro negli anni ’20, a bere cocktails preparati con grande arte, chiacchierando con una cantante franco-romena che ha appena eseguito il suo repertorio con una jazz band. Mangerete patate dolci fritte bevendo birre dai nomi improbabili e liquori di dubbia provenienza sotto l’Empire State Building. Entrerete in un ristorante italiano e vi sembrerà di essere in Sicilia.

Vi perderete, pur sapendo esattamente dove siete. Attraverserete il ponte di Brooklyn a piedi, perchè farlo è molto cool, e non saprete più come tornare indietro. Uscirete dalla metro a Wall Street per fare una passeggiata e chiederete indicazioni in inglese ad una ragazza italiana. Chiacchiererete con un barbone aspettando un autobus che non passerà mai. Vi ci vorranno 40 minuti per attraversare il Central Park da Est a Ovest, e un’ora per farne il periplo in bicicletta.

E in mezzo a tutto questo visiterete musei grandi come il paesello da cui siete partiti. Stazioni ferroviarie con più binari che persone. Intersezioni stradali che avreste pensato impossibili. Set cinematografici a cielo aperto. Bellezze naturali che non vi sareste mai aspettati.