Voy tirando

Scrivere per non pensare

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Cooper became unstuck in time

Sabato sera, in mancanza d’altro, si è deciso di andare al cinema. A dire la verità le emozionanti alternative non mancavano: una passeggiata coi piedi a mollo lungo il Po (per i posteri: sera del 15 Novembre 2014, Cremona [e non solo] è sull’orlo dell’alluvione), una scampagnata in centro a vedere le stelle (sempre per i posteri: sera del 15 Novembre 2014, nuvole e pioggia abbondano), una gita al più vicino pub per intossicarsi con gli alcolici più vari… In ogni caso, al cinema c’era uno di quei rari film che mettono d’accordo più di quattro persone in una compagnia di cinque e non potevamo lasciarcelo sfuggire.

Il film in questione si chiama “Interstellar”, è diretto da Christopher Nolan e dura 3 ore buone. Se fossi un cretino qualunque tenterei di spiegarvelo, ma poiché sono un cretino sui generis ho capito che mi conviene evitare. La trama è assai complessa, ed una sua esposizione per iscritto la sciuperebbe. Lo stesso si può dire degli effetti speciali. In verità tutto il film è estremamente complesso, dalle lacrime di Anne Hathaway (che tra “I Miserabili” e “Interstellar” ha ormai perso la capacità di sorridere) all’orizzonte degli eventi del buco nero, ma riesce in ciò in cui film del genere in passato hanno miseramente fallito: non solo è più complesso della somma algebrica della complessità delle sue parti, è anche migliore della somma delle sue parti. Non mi soffermo sul cast, così (giustamente) zeppo di grandi attori et attrici da far venire la nausea. Insomma, come i lettori con più di un neurone hanno già capito, faccio parte del partito degli ammiratori di “Interstellar”. L’unico vero neo della pellicola, di cui, come me, vi renderete conto il giorno dopo, è a mio parere il “Piano B” che proprio non sta in piedi, e non per motivi tecnici. Che posso fare dunque per esprimere ciò che sento riguardo questo film? La cosa che faccio sempre: parlare d’altro.

Negli anni ’80 William Gibson, un tizio molto particolare, scrisse un interessante racconto intitolato “Hinterlands”. Difficile spiegare “Hinterlands” a chi non l’abbia letto, ed ancora più difficile spiegarlo a chi l’abbia letto. Vi basti sapere che parla di morte, auto-distruzione, disperazione, incomunicabilità (anche con se stessi) e solitudine. La lettura adatta per chi non riesce a decidersi a tagliarsi le vene (spoiler alert: le vene tagliate sono parte integrante della trama). Ed è ambientato nello spazio. Ebbene, in “Interstellar” ho trovato molto di questo racconto.

Qualche decina di anni prima un altro tizio molto particolare, Kurt Vonnegut, scrisse un romanzo breve, “Slaughterhouse-five”. Molto più semplice da spiegare rispetto al racconto e al film di cui sopra, ma comunque molto interessante. Vonnegut immagina un uomo che viaggia nel tempo, avanti e indietro, senza poter mai scegliere quando partire e quando arrivare. Gli alieni, dai quali per un breve periodo è stato rapito, gli hanno spiegato che il tempo non è nulla più che una normale dimensione lungo la quale muoversi, e che la morte non è che un punto del tutto trascurabile. Non so perché (meglio, lo so ma non ve lo dico), anche questo libro mi sembra avere qualcosa in comune con “Interstellar”.

Per procedere poi con una nota in calando, quelli di voi che avranno visto “The Butterfly Effect”, film di qualche anno fa con Ashton Cutcher, sanza infamia e sanza lodo, in “Interstellar” si sentiranno a casa.

Dunque, per concludere, come dice il famoso proverbio africano: non importa che tu sia leone o gazzella, l’importante è che questo week-end tu corra a vedere “Interstellar”, che è una figata pazzesca e merita i tuoi 7,50 euro molto più di un “Dracula Untold” qualsiasi.

1Q84: dentro e fuori.

Come al solito arrivo in ritardo. Senza sapere bene come nè perchè, non avevo mai letto un libro di Murakami Haruki. Senza sapere bene come nè perchè, ho deciso di iniziare da 1Q84. Per chi non fosse un intellettuale di sinistra (o un giapponese), specifico che mi riferisco ad un fermaporta cartaceo di 1058 pagine: roba che può provocare seri danni alla vostra integrità fisica, se vi cade addosso da più di un metro di altezza.
Come ho già detto, sono arrivato in ritardo. Pertanto non posso scrivere una recensione. Ci hanno già pensato gli intellettuali di sinistra (e i giapponesi). Peccato che la maggior parte dei lettori, almeno di quelli che poi hanno scritto una recensione, non ci abbia capito un cazzo. Si tratta di un problema comune a tutti i fermaporta cartacei di questo mondo: faticano a farsi capire dalle menti ristrette. C’è poi da tenere a mente che molti reviewers non vanno di solito oltre la lettura del titolo.
Non posso scrivere una recensione, sono fuori tempo massimo. Non ho nemmeno voglia di lanciarmi in una compita disamina della struttura del romanzo, dei generi nei quali rientra e delle modalità espressive figlie della postmodernità. Non posso scrivere una recensione, ma posso fare di meglio: posso dirvi cosa c’è, dentro il fermaporta cartaceo. Posso anche dirvi cosa non c’è. Per non rovinarvi la lettura, però, lo farò in modo contorto, spoilerandovi tramite altri libri.

In:
IT: il sesso come motore ed origine di tutte le cose. Davvero, rapporti sessuali come se piovessero. Fisici, metafisici e patafisici. Legali e anche no. “Normali” e “perversi (per dirla all’inglese: kinky)”. Ma la cosa che più mi ha stupito (mi ha letteralmente fatto sbroccare) è che non solo scorrono benissimo, come il quarto bicchiere di gin in un disco pub newyorkese anni ’80 la notte prima di tornare a casa (more on this in another post), ma sono anche incoercibilmente legati alla trama. Murakami prende la lezione di King e senza fatica lo supera, facendo diventare il rapporto sessuale non solo un meccanismo di plot advancement, come in IT, bensì un meccanismo di content delivery. Il sesso in 1Q84 è per il lettore come Steam sul computer di un accanito videogamer: consegna all’utente contenuti che altrimenti sarebbero molto più faticosi da reperire. Ho provato ad immaginare 1Q84 un po’ meno pervaso dal sesso, ma non mi è stato possibile.
Vanity Fair: Dobbin & Amelia Sedley, invertiti. I protagonisti si cercano per vent’anni, tra gli alti e bassi delle loro rispettive vite, innamorati persi, e quando finalmente si trovano il libro finisce in maniera tutto sommato positiva. Il paragone con i protagonisti (o per dirla con W.M. Thackeray, i non protagonisti) di Vanity Fair è inevitabile.
I Fratelli Karamazov: stavolta il Grande Inquisitore ottiene una parte centrale. Non scherzo, salta fuori più o meno a metà del secondo libro (di tre), calamitando non solo l’attenzione della protagonista, ma anche quella dei lettori. Come nel racconto di Vanka Karamazov, è un personaggio estremamente complesso e sfaccettato, shakespeariano, che si è caricato un peso enorme sulle spalle, per senso del dovere e del destino, anche se sa già che in fondo non servirà a nessuno.
Alice nel Paese delle Meraviglie: senza Bianconiglio. O forse con. In 1Q84 i mondi si sovrappongono e si mischiano, ma come Alice arrivò nello strano paese tramite la tana di un coniglio, anche i protagonisti di questo romanzo cambiano scenario attraverso dei pertugi più o meno naturali. Una scala d’emergenza della tangenziale, uno scivolo, i rami degli alberi in una notte ventosa.
Attraverso lo Specchio: beware the Jabberwock. Un mostro si cela nell’ombra, pronto ad afferrare i protagonisti mentre si preparano a fuggire. Un mostro orribile, ma paziente ed intelligente, che sembra modellato sulle famose illustrazioni ottocentesche a Through The Looking Glass. Una sorta di ultima prova da superare prima di potersi mettere al sicuro.

Out:
1984: probabilmente l’unico libro che veramente non c’entra un cazzo. Probabilmente uno stunt pubblicitario, per attirare l’attenzione della stampa e dei lettori. Avendo letto sia 1984 che 1Q84, posso dire che il secondo avrebbe potuto chiamarsi anche 1Q85, o 1Q76, senza alterare il senso complessivo dell’opera.

Decalogo, in 6 punti, del lettore giudizioso.

Molte persone (io per primo, e se state leggendo questo articolo probabilmente anche voi), se messe di fronte ad una libreria ben fornita, non sanno da che parte iniziare. Comprare il primo libro della più recente eptalogia fantasy o gettarsi a capofitto nei classici russi? Acquistare una antologia di poeti inglesi e scegliere un buon romanzo storico? Ebbene, per aiutare loro e me, nel corso degli anni ho approntato alcune semplici regole che troverete qui di seguito, grazie alle quali saremo in grado non solo di ridurre le perdite di tempo e soldi, ma anche di godere più pienamente dei nostri acquisti.

1)      I want my writers dead!
Questa regola, enunciata per la prima volta da Bill Hicks in merito alle rockstars, diventa sempre più attuale, fatte le debite distinzioni, anche per gli scrittori. Laddove il compianto Mr. Hicks sosteneva che solo una rockstar drogata, sessualmente promiscua e con istinti suicidi può produrre del buon rock, e pertanto la morte violenta e prematura era una buona garanzia della qualità di una rockstar, io mi limito a dire che solo la morte di uno scrittore può salvare il lettore dalla morte interiore.
I moderni scrittori infatti non si limitano a scrivere uno o più romanzi, ma si gettano sempre più sovente nella scrittura di trilogie (Suzanne Collins), tetralogie (Christopher Paolini) o addirittura eptalogie (J. K. Rowling).  Sebbene la scrittura di una storia che duri più libri possa dare grande soddisfazione al lettore e grande reddito allo scrittore (la classica situazione win/win), è ben noto che gli scrittori non sono di ferro, e più la storia è lunga, più cresce il rischio che una morte improvvisa la tronchi assieme alla vita dello scrittore.
Ho scelto non a caso tre esempi di saghe letterarie ormai felicemente concluse, di modo che voi lettori possiate riflettere. Confrontate J. K. Rowling (so che avete letto Harry Potter) con Tolkien (dovete aver letto almeno “Il Signore degli Anelli”) e ditemi come vi sentireste se anche lei fosse morta lasciando il suo lavoro a metà, in mano a degli editori senza scrupoli , e tra cinquant’anni i nostri (vostri, io sono troppo brutto per averne) figli fossero ancora qui a leggere, un capitolo per volta, la saga di Harry Potter, senza intravederne la fine, come ancora accade con l’universo creato da Tolkien, di cui ogni anno puntualmente esce un nuovo libro assemblato a partire da appunti lasciati qua e là su post-it in giro per casa.
Una lunga saga letteraria richiede un cospicuo investimento emotivo e temporale. Meglio dunque, per evitare frustrazioni, leggere solo libri di scrittori morti. O se proprio non potete evitare, come me, di leggere le moderne saghe letterarie (degli scrittori nominati sopra ho letto, o sono in procinto di leggere, praticamente tutto), aspettate almeno che di quelle saghe sia stata scritta la parole fine.

2)      Un buon libro si vede dalla copertina!
Non lo ripeterò mai abbastanza. Un libro con una copertina brutta o trascurata spesso non vale la pena di essere letto. La copertina è la prima cosa che un potenziale lettore vede, e gli editori lo sanno. Se non si prendono la briga di assumere un buon disegnatore, spesso è perché non hanno fiducia nella bontà del testo. Lo stesso dicasi per le rielaborazioni grafiche di immagini: se non è un saggio od un romanzo storico, lasciatelo dov’è.
Morale: quando cercate qualcosa da leggere, cercate una bella copertina. Avvicinatevi alle copertine brutte solo dopo aver letto le recensioni.

3)      Evitate rapporti sessuali, stupri e violenze.
Se un libro utilizza il sesso (“50 sfumature di etc. etc.”), gli stupri (“I pilastri della terra”) o la violenza (di nuovo “I pilastri della terra”) in modo gratuito, con descrizioni troppo grafiche, generalmente non è un buon libro. Oppure finirà per stancarvi (ho abbandonato “I pilastri della terra”, un ottimo libro, a metà, dopo l’ennesimo stupro).
In ogni caso i rapporti sessuali e le scene di estrema violenza sono difficili da descrivere e tendono a sfuggire di mano, ottenendo spesso l’effetto contrario da quello desiderato dall’autore.

4)      Chiedete almeno il testo a fronte!
Il mondo è già abbastanza scrauso così com’è, perché dunque autoimporci l’orrore di una traduzione fatta male? Cercate sempre di procurarvi i libri in lingua originale, se siete in grado di leggerla, e ne verrete ricompensati.

5)      Il finale non conta!
Non importa se i vostri amici hanno già letto i migliori dieci libri usciti quest’anno, per poi spoilerarveli brutalmente. Non importa se ormai vi siete visti lo sceneggiato della BBC con Rupert Everett. Non importa se siete andati su Wikipedia per informarvi su di un libro e non avete resistito alla sezione “Plot”. Un buon libro avrà sempre qualcosa da darvi, anche se ne conoscete già il finale. Quello che conta (frase trita e ritrita) è il viaggio, non la meta! Un libro sarà buono proprio perché, nonostante conosciate già il finale, e nonostante vi sembri un finale pessimo, o lontano dai vostri gusti, leggendolo dall’inizio alla fine vi farà cambiare idea.

6)      Chiudete un libro ed andate al cinema!
Se vi attenete strettamente alla regola 1, è molto probabile che, prima ancora che possiate comprare una saga letteraria (perché questa non è stata ancora conclusa), ad Hollywood ne abbiano già tratto almeno un film. Ebbene, andate al cinema e guardate quel film. Un film tratto da un libro è un ottimo indice, fatte le debite proporzioni, di cosa si possa trovare in quel libro.
Io ho guardato la settimana scorsa il primo film tratto dalla saga “The Hunger Games”. L’ho guardato controvoglia perché pensavo che fosse una specie di “Twilight” senza vampiri. Invece, vi ho trovato sbudellamenti, esplosioni, miseria e disperazione. Mi ha convinto ad acquistare il libro.
Se riuscirete ad interiorizzare la regola 5, potrete trarre il massimo beneficio da questa regola 6 ed, a fronte di un paio d’ore spese al cinema, magari in compagnia dei vostri amici o della vostra morosa, potrete girare anche voi tra gli scaffali delle librerie con una pletora di informazioni in più ed evitare, finalmente, di sprecare soldi e tempo con libri di scarsa qualità.